DISABILITÀ Interventi preventivi in materia di disabilità e sport
Spesso capita di vedere sui social, in tv e su altri mezzi di informazione fruibili a milioni di persone, atleti portatori di disabilità e questo dovrebbe permetterci di capire subito che questa non sia, in realtà, un “limite”, ma la manifestazione del fatto che ogni singolo soggetto, disabile o meno, possa esprimere la propria vitalità e coltivare quelle che sono le proprie ispirazioni di carattere sportivo, gioie, sensazioni e passioni. Nel lontano 1944, Ludwig Guttmann diede vita alle prime organizzazioni di corsi, specifici e strutturati, all’interno dei così detti “centri di riabilitazione” per soggetti con “deficit motori”. A distanza di qualche anno (precisamente nel 1948) si organizzarono i primi giochi per atleti con disabilità, che vennero poco dopo (nel 1960) etichettati come “Giochi Paralimpici” ed ebbero risalto per la prima volta nella nostra Capitale. Da quel momento, lo sport per i disabili non costituì più un tabù o un’inibizione a causa della quale i soggetti coinvolti potessero sentirsi, passivamente, costretti a nascondersi dal giudizio altrui: essi cominciarono ad avere voglia di oltrepassare i propri limiti e di mostrare, in modo attivo e al di là della propria “sventura”, che essere disabile non significa affatto essere incapace di gestire il proprio corpo, seppur con delle difficoltà. Oggi, fortunatamente, lo sport è una pratica diffusa anche tra le persone portatrici di disabilità e questo per merito anche, o forse dovremmo dire soprattutto, di eccellenze umane che hanno messo il loro volto, la loro voce, la loro storia e il loro esempio al servizio di chi condivide questa condizione: uno tra i tanti, il pilota Alex Zanardi, il quale nonostante un grave incidente e la conseguente disabilità riportata, non ha mai perso la voglia di fare sport, di divertirsi e di far divertire, ma soprattutto di vivere. Emblematica, a riguardo, è una frase dello stesso Zanardi: “Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta non la metà che era andata persa”. La mia esperienza a contatto con alcune di queste persone straordinarie ha confermato in me, se mai ce ne fosse stato bisogno, la convinzione che lo sport possa non solo aiutare concretamente un soggetto disabile a utilizzare al meglio le proprie capacità motorie, ma che sia anche veicolo di accrescimento di quelle logico- cognitive proprio grazie alla profonda connessione tra l’attività motoria e quella cerebrale. Questo lo rende, dunque, un supporto particolarmente prezioso nei casi di soggetti affetti da disabilità di tipo mentale. Ho avuto modo, negli ultimi due anni, di conoscere e di collaborare con meravigliose eccellenze vitali, come Ilaria Bidini che ha riportato la propria esperienza, senza alcun timore di esporsi e nonostante le numerose difficoltà, nel primo compendio dedicato a tematiche sociali dalla Casa Editrice AdMaiora. Personalmente non amo molto utilizzare il termine “disabile” per riferirmi ad una persona con difficoltà riscontrabili sul piano fisico o psichico, poiché una distinzione netta tra chi è disabile e chi non lo è sarebbe, a mio modo di vedere poco realistica. Preferisco chiamare le persone semplicemente per nome, nella profonda convinzione che tutti noi siamo, in realtà, afflitti da disabilità, in quanto siamo tutti diversi e tutti abbiamo dei “limiti” da superare. Mi piace pensare che la vera “disabilità” non esista, se non come espressione di alcune menti ad alto tasso di stupidità intellettiva. Dott. Domenico Corraro