Il compenso dell'amministratore giudiziario di beni e aziende sequestrate

Il compenso dell'amministratore giudiziario di beni e aziende sequestrate

La tariffa che regola i compensi degli amministratori giudiziari di beni e aziende sequestrate introdotta con il d.p.r. n. 177/15 ha evidenziato numerose criticità emerse nei primi anni di applicazione. In questo lavoro non ci si limiterà a evidenziare le problematiche applicative, derivanti da una errata impostazione di fondo che equipara il ruolo dell’amministratore a quello del curatore fallimentare. Si vuole fornire un contributo, anche operativo, alla soluzione delle incertezze con le quali sono chiamati a confrontarsi tutte le parti in causa: amministratori, organi liquidanti, giudici, avvocati delle parti e controllori. Attenendosi alla stretta applicazione della legge e dei suoi principi ispiratori. Nel primo capitolo si passano in rassegna le fonti normative, per soffermarsi nel secondo capitolo sull’illustrazione della tariffa e della relazione governativa che ha accompagnato il decreto, oltre che dei rilievi segnalati dal Consiglio di Stato e non presi in considerazione dal governo. Nel terzo capitolo vengono messi in evidenza i limiti e le criticità del provvedimento soffermandosi sulla mancanza di un riferimento temporale dell’attività svolta, uno dei vulnus più rilevanti che pone sullo stesso piano procedure che si chiudono rapidamente entro pochi mesi e sequestri che vanno avanti per molti anni. Il quarto capitolo è dedicato alle problematiche interpretative delle disposizioni della tariffa. La commisurazione dei compensi al valore dei beni costituiti in azienda, l’individuazione delle masse distinte, il riferimento alla prevalenza della gestione più onerosa di cui all’art. 3 comma 6 della tariffa, che tale non è - sempre o necessariamente - quello del valore maggiore ma quello della laboriosità che comporta obblighi e oneri più gravosi e in ogni caso da applicare a beni rientranti in almeno due delle categorie (aziende, immobili, mobili) per natura ovvero perché, nel corso della procedura, possono cambiare l’appartenenza all’una o all’altra categoria. Nel quinto capitolo dedicato ad aumenti e riduzioni di cui all’art. 4 della tariffa si propone un metodo empirico ancorato all’incrocio dei criteri previsti dalla norma al fine di poter esprimere una valutazione oggettiva per non incorrere nel rischio di giudizi che possano risentire di conclusioni discrezionali, le quali, a loro volta, potrebbero condurre a liquidazioni inique. Il sesto capitolo sviluppa i temi degli acconti, delle spese e dei coadiutori. Il nuovo istituto dell’equo compenso è trattato nel settimo capitolo. Gli incarichi giudiziari, compresi quelli di amministratore giudiziario, devono rispettare i vincoli imposti da tale normativa, a tutela del lavoro prestato e della giusta determinazione del corrispettivo. Nell’ottavo capitolo viene fornita una panoramica delle prassi in uso presso i tribunali, partendo dalla constatazione che le incertezze interpretative del d.p.r. n. 177/15 in commento sono state, finora, risolte sempre in peius per gli amministratori, dando luogo a liquidazioni assolutamente inadatte, incongruenti e contrarie a ogni principio di proporzionalità rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato. Il nono capitolo tratta la tutela giurisdizionale per l’impugnazione delle liquidazioni e vengono passati in rassegna i provvedimenti più rilevanti adottati negli ultimi anni nei diversi distretti giudiziari che hanno avuto modo di affrontare i temi più controversi. Nel decimo capitolo si giunge alle conclusioni e alla presentazione di un caso studio, con l’ambizione di proporre un modello di corretta applicazione della tariffa e la rappresentazione di un’istanza di liquidazione del compenso finale e del provvedimento del tribunale.

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