L’IRAP RELATIVA A UNO STUDIO PROFESSIONALE ASSOCIATO

Nella controversia IRAP relativa a uno studio professionale associato, con imposta imputata per trasparenza agli associati, sussistendo litisconsorzio necessario tra l’associazione e i propri associati, ove al giudizio abbiano partecipato tutti gli associati, il contraddittorio non deve essere integrato nei confronti dell’associazione, non avendo la stessa distinta personalità giuridica.

Data: 9 Novembre 2021
IN TEMA DI ACCERTAMENTO TRIBUTARIO, L’ACCERTAMENTO ANALITICOINDUTTIVO MUOVE DALLA INCOMPLETEZZA, FALSITÀ O INESATTEZZA DI SINGOLE COMPONENTI DELLA CONTABILITÀ E PROCEDE ALLA RETTIFICA DEI REDDITI DELL’IMPRESA ED ALLA CONSEGUENTE EVENTUALE RIDETERMINAZIONE DELL’IMPOSTA

Nella sentenza in esame la Corte di Cassazione si è occupata del giudizio di legittimità relativo ad una pronuncia resa dalla Commissione tributaria di II° grado di Trento pronunciatasi in punto di sussistenza dei presupposti per l'adozione dello strumento induttivo di accertamento Nella specie era accaduto che la CTR aveva affermato che l'accertamento effettuato dall'Ufficio nel caso di specie era stato di tipo analitico-induttivo, da ricondurre dunque al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e che nell'ambito di esso l'Amministrazione aveva fatto ricorso a presunzioni dotate dei requisiti di precisione gravità e concordanza richiesti dall'art. 2727 c.c.. A tale conclusione, la CTR era giunta dopo aver constatato irregolarità formali delle scritture contabili: "risulta infatti che la ditta O., anziché eseguire giornalmente le registrazioni, come prescrive il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 243, annotava i corrispettivi globalmente, con la data dell'ultimo giorno del mese"; in presenza di tali irregolarità, l'Agenzia si sarebbe vista costretta "ad eseguire un raffronto fra i dati dei registri IVA ed i movimenti del conto corrente, al cui esito riscontrava la paradossale permanenza di un saldo negativo della cassa contanti, in quanto l'importo totale dei movimenti in uscita non era mai coperto dalla situazione attiva, sintomo evidente della fittizietà delle annotazioni contabili".

Data: 25 Ottobre 2021
OGNI ATTO ADOTTATO DALL’ENTE IMPOSITORE CHE PORTI A CONOSCENZA DEL CONTRIBUENTE UNA SPECIFICA PRETESA TRIBUTARIA È IMPUGNABILE DAVANTI AL GIUDICE TRIBUTARIO

Ogni atto adottato dall’ente impositore che porti, comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria, con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, è impugnabile davanti al giudice tributario, senza necessità che si manifesti in forma autoritativa, con la conseguenza che è immediatamente impugnabile dal contribuente anche la comunicazione d’irregolarità, ex art.36-bis, comma 3, d.p.r. n. 600/1973 (cd. avviso bonario).

Data: 20 Ottobre 2021
AI FINI DEL DECORSO DEL TERMINE BREVE DI IMPUGNAZIONE LA NOTIFICA DELLA SENTENZA PUÒ ESSERE FATTA SOLTANTO MEDIANTE “CONSEGNA A MANO”

Ai fini del decorso del termine breve di impugnazione, la notifica della sentenza può essere fatta alla parte personalmente soltanto mediante “consegna a mano” di quest’ultima, da effettuarsi, ove il destinatario sia l’Amministrazione finanziaria, mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia (art. 16, comma 3, ultima parte, d.lgs. n. 546/1992). Diversamente, la notifica va effettuata a mezzo posta in plico raccomandato senza busta e con avviso di ricevimento, presso i luoghi indicati nell’art. 17, d.lgs. n. 546 cit., ovvero nel domicilio eletto dalla parte o, in mancanza, nella residenza o nella sede dalla stessa dichiarata in sede di costituzione in giudizio.

Data: 11 Ottobre 2021
PROCESSO TRIBUTARIO, CANCELLAZIONE DAL REGISTRO DELLE IMPRESE

Nel processo tributario la cancellazione dal registro delle Imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicché non sussistendo possibilità di prosecuzione dell’azione, la sentenza impugnata con ricorso per cassazione deve essere annullata senza rinvio ex art. 382 c.p.c., venendo in rilievo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre, sin dal primo grado, ad una pronuncia declinatoria di rito.

Data: 5 Ottobre 2021
IL RICORSO IN TEMA DI CONTENZIOSO TRIBUTARIO

In tema di contenzioso tributario, la possibilità, concessa al ricorrente e all’appellante dagli artt. 20, 22 e 53, d.lgs. n. 546/1992, di proporre il ricorso anche mediante la consegna diretta o la spedizione a mezzo posta, non si estende al ricorso per cassazione, la cui notificazione deve pertanto essere effettuata esclusivamente nelle forme previste dal codice di procedura civile, a pena di inammissibilità rilevabile d’ufficio.

Data: 28 Settembre 2021
L’OMESSA COMUNICAZIONE ALLE PARTI, ALMENO 30 GG. LIBERI PRIMA, DELL’AVVISO DI FISSAZIONE DELL’UDIENZA DI DISCUSSIONE COSTITUISCE CAUSA DI NULLITÀ DEL PROCEDIMENTO E DELLA DECISIONE DELLA COMMISSIONE TRIBUTARIA

L’omessa comunicazione alle parti, almeno 30 gg. liberi prima, dell’avviso di fissazione dell’udienza di discussione costituisce causa di nullità del procedimento e della decisione della Commissione tributaria per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, nullità che si realizza sia nel caso di omesso invio dell’avviso, sia nel caso di invio effettuato senza il rispetto del termine stabilito dalla legge, realizzandosi, in entrambe le ipotesi, la violazione della prescrizione stabilita dall’art.31, d.lgs. n.546/1992. La predetta nullità può essere sanata per raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156, comma 3, c.p.c., nel caso in cui, nonostante l’omessa o irrituale comunicazione dell’avviso, la parte sia ugualmente presente all’udienza (pubblica), ovvero abbia depositato memorie o documenti ex art. 32, d.lgs. n.546 citato, circostanza sintomatica della conoscenza, da parte dell’interessato, della avvenuta fissazione dell’udienza (pubblica o camerale) di discussione della causa.

Data: 21 Settembre 2021
FRODE CAROSELLO: L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA HA L’ONERE DI PROVARE LA FINALITÀ DI EVASIONE DELL’IMPOSTA

L’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta.

Data: 3 Agosto 2021
LA SENTENZA CHE ACCLARA L'ESISTENZA O L'AMMONTARE DEL CREDITO PIGNORATO È SOTTOPOSTA ALL'IMPOSTA DI REGISTRO NELLA MISURA PROPORZIONALE DELL'1%, E NON NELLA MISURA FISSA

La vicenda trae origine dal ricorso per Cassazione introitato dalla C. S.p.a., avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Regionale di Sicilia, la quale, all’esito della controversia incardinata su impugnazione di avviso di liquidazione per l'omesso pagamento dell'imposta di registro e dei relativi accessori per la registrazione di una sentenza resa dal Tribunale di Enna – al termine del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo - ha accolto l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate. Nello specifico, la C.T.R. siciliana ha riformato la decisione resa dal Giudice di prime cure, sul presupposto che l'imposta di registro dovesse applicarsi in misura proporzionale con l'aliquota dell'1%, in relazione alla pronunzia di ricognizione del credito che era stata adottata contestualmente alla revoca del decreto ingiuntivo dopo il pagamento eseguito in corso di causa. All’uopo, l'Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. Con riferimento al caso di specie, la normativa di riferimento nazionale è rinvenibile nel D.P.R. del 26 aprile 1986, n. 131, ovverosia “Approvazione del Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro”.

Data: 26 Maggio 2021
IL LIBERO PROFESSIONISTA CHE INCASSA ASSEGNI CIRCOLARI E VIENE SOTTOPOSTO AD ACCERTAMENTI TRIBUTARI, PUÒ OTTENERE L'ANNULLAMENTO DEGLI STESSI NEL SOLO CASO IN CUI RIESCA A DIMOSTRARE CHE IL DENARO INCASSATO NON È RIFERIBILE AD IMPORTI IMPONIBILI PER LEGGE

Nel caso di specie è accaduto che l’Agenzia delle Entrate notificava ad un contribuente – nel caso de quo, un avvocato - diversi avvisi di accertamento con i quali riprendeva a tassazione - ai fini Irpef, Irap e Iva – rispettivamente gli importi di Euro 10.000,00 e di Euro 80.307,69, corrispondenti all'incasso in extraconto di assegni circolari emessi dalla Banca Popolare di Verona San Gimignano e San Prospero su ordine dello studio legale associato R. senza che fosse fornita alcuna adeguata motivazione, in quanto importi derivanti a titolo di maggiori compensi dallo svolgimento di lavoro autonomo non dichiarati. Ad ogni buon conto, il libero professionista ha presentato ricorso dapprima in CTP e, risultato soccombente in tale sede, in Commissione Tributaria Regionale. In ogni caso, anche la CTR ha respinto il ricorso del contribuente, sulla scorta della considerazione per la quale lo stesso non avesse fornito la prova documentale in grado di dimostrare, anche per presunzioni, a che titolo gli erano stati corrisposti i suddetti assegni circolari "non essendo evincibile dalla documentazione contabile dello studio associato la corrispondenza delle stesse con la distribuzione di quote di utile di annualità pregresse e non potendo a tale carenza sopperirsi con i calcoli effettuati dall'appellante inidonei a dimostrare quale fosse il credito da lui vantato nei confronti dello studio, né tantomeno le argomentazioni relative al conto - associati c/prelevamenti e versamenti- potevano, stante il contrasto con le scritture contabili analizzate, ritenersi idonee a superare la presunzione legale". All’uopo, il legale ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando ben 11 motivi di ricorso.

Data: 19 Maggio 2021
LA NOTIFICA DI UNA CARTELLA DI PAGAMENTO NON DETERMINA LA COSIDDETTA “CONVERSIONE" DEL TERMINE DI PRESCRIZIONE BREVE IN QUELLO ORDINARIO DECENNALE, AI SENSI DELL'ART. 2953 C.C.

Con un unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate ha impugnato il provvedimento reso dalla Corte d’Appello di Lecce, deducendo la violazione dell'art. 2946 c.c., nonché del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49 e del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, comma 4, e art. 20, comma 6, per avere la sentenza impugnata applicato il termine di prescrizione quinquennale piuttosto che quello ordinario decennale, con riferimento a crediti iscritti a ruolo ed oggetto di cartelle di pagamento non impugnate dal debitore. Nello specifico, la Corte d'appello di Lecce aveva respinto gli appelli proposti avverso la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva dichiarato estinti i crediti vantati dall'INPS e dall'INAIL, oggetto di plurime cartelle esattoriali, per intervenuta prescrizione quinquennale maturata successivamente alla notifica delle cartelle stesse e prima della notifica dell'intimazione di pagamento e dell'iscrizione ipotecaria, oggetto della controversia.

Data: 12 Maggio 2021
L’ESENZIONE FISCALE DI CUI ALL'ART. 19 DELLA L. N. 74/1987 SPETTA ANCHE ALLE SENTENZE DI SCIOGLIMENTO DELLA COMUNIONE TRA I CONIUGI DOPO LA SEPARAZIONE

La vicenda oggetto di disamina può essere riassunta nei seguenti termini: in seguito al decreto di omologa della separazione, i coniugi N.G. e P.M. procedevano allo scioglimento giudiziale della comunione legale, che veniva pronunciato con sentenza provvisoria del 23 agosto 2017. Successivamente, l'Agenzia delle Entrate notificava avviso di liquidazione per la corresponsione delle imposte di registro e accessori, ritenendo che la suddetta sentenza di scioglimento della comunione non fosse esente da imposta di registrazione; all’uopo, la contribuente resisteva invocando l'applicazione del regime di esenzione di cui all'art. 19 della L. n. 74/87. In seguito, la Commissione Tributaria Regionale di Venezia, in sede d'appello, rigettava il ricorso introitato dall’Agenzia delle Entrate, di tal ché quest’ultima si determinava a proporre ricorso innanzi alla Corte di Legittimità. Inquadrata la cornice fattuale della vicenda che ci occupa, occorre analizzare l’orientamento giurisprudenziale che emerge dalla recentissima sentenza resa dalla Suprema Corte. Ciò posto, gli Ermellini respingono il gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate, all’uopo stigmatizzando l’assunto alla stregua del quale “in tema di imposta di registro sugli atti giudiziari, in esito ai procedimenti di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, beneficia del regime di esenzione previsto dall'art. 19, l. n. 74 del 1987 anche la sentenza di divisione giudiziale della comunione legale dei coniugi, conseguente al mancato raggiungimento di accordi”.

Data: 5 Maggio 2021
QUALORA IL COMUNE NON SVOLGA CORRETTAMENTE IL SERVIZIO DI RACCOLTA DEI RIFIUTI NELL'AREA DEL CONTRIBUENTE, IL CONTRIBUENTE MEDESIMO HA DIRITTO ALL’ABBATTIMENTO DEL 40% DELLA TARI

La controversia trae origine dall’impugnazione dell'avviso di pagamento da parte della Società OMISSIS, con cui il Comune di Nola aveva richiesto alla società contribuente il versamento della TARI, con riferimento all’anno di imposta 2015. Nello specifico è accaduto che alla conclusione del secondo grado di giudizio, la Società contribuente, protagonista della fattispecie esaminata, ha impugnato la sentenza n. 6478/17 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania – la quale, a propria volta, accoglieva l'appello proposto dal Comune di Nola – ed ha incardinato il giudizio innanzi alla Corte di Legittimità adducendo due motivi di ricorso. Con il primo, la contribuente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione di diverse norme e delibere, contestando la circostanza per la quale la Commissione Tributaria Regionale per la Campania abbia ritenuto non applicabili le riduzioni previste dalla normativa per la Tari, e ciò nonostante la circostanza per la quale la società a cui il Comune aveva affidato il sevizio di raccolta rifiuti non avesse mai svolto effettivamente attività di raccolta nell'area Interportuale considerata. Con il secondo motivo di gravame, la Società ricorrente ha evidenziato che le modalità di espletamento del servizio di raccolta, erano rimaste immutate rispetto alle annualità precedenti - 2006/2009 – in occasione delle quali era stato generato un analogo contenzioso, definito con un accordo transattivo che prevedeva il pagamento della tariffa TARSU ridotta al 15% rispetto a quella ordinaria.

Data: 28 Aprile 2021
QUALORA LA CARTELLA DI PAGAMENTO EVIDENZI PIÙ CARICHI, IL LIMITE DI VALORE DI €1.000,00, FISSATO DALLA NORMA, NON SI CORRELA A CIASCUNO DI QUESTI, MA ALLA LORO SOMMA E, SE LA NATURA DEI CARICHI È DIVERSA (TRIBUTARIA, SANZIONI AMMINISTRATIVE), ALLA SOMMA DEI CARICHI OMOGENEI

La vicenda oggetto di disamina riguarda il ricorso introitato innanzi alla Corte di Legittimità da R.D.T.G.,e trae origine dall'atto con cui, in data 28/9/2012, Equitalia Centro S.p.A. notificava al ricorrente una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria, per asserito mancato pagamento di n. 4 cartelle esattoriali, concernenti il pagamento complessivo della somma di Euro 39.969,81 dovuta per una serie di violazioni del Codice della Strada sanzionate dal Comune di Firenze. Conseguentemente alla notifica dell’anzidetta comunicazione, l’odierno ricorrente proponeva opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. innanzi al Giudice di Pace di Firenze, convenendo in giudizio sia Equitalia che il Comune di Firenze, sostenendo l’inesistenza o, gradatamente, la nullità della notificazione sia delle quattro cartelle esattoriali, sia dei verbali d'infrazione. Il Giudice di Pace di Firenze, successivamente, accoglieva l’opposizione nel presupposto della nullità delle notificazioni dei verbali. Dopodiché, instauratosi correttamente il procedimento di secondo grado, al termine dello stesso, decidendo sui separati appelli proposti dal Comune di Firenze e da Equitalia Centro, il Tribunale di Firenze, in riforma della sentenza del GdP, accoglieva in parte le censure sollevate dagli appellanti, reputando prescritto il credito di cui a due delle cartelle di pagamento, mentre la rigettava per le altre due cartelle. Ciò posto, R.D.T.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 2799/2017, e, con separati controricorsi, si sono all’uopo costituiti in giudizio il Comune di Firenze e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione. 2 Inquadrati preliminarmente i termini della vicenda che ci occupa, la Corte di Cassazione, nella motivazione della sentenza oggetto di disamina, ha stabilito come l’art. 4 del D.L. n. 119 del 2018 – c.d. pace fiscale – convertito, con modificazione, nella legge n. 136 del 2018, in materia di cosiddetto “saldo e stralcio” , si deve interpretare nel senso che, qualora la cartella esattoriale evidenzi più carichi, il limite di valore pari ad € 1.000,00 cui è correlato l’annullamento previsto dalla norma, non si correla a ciascun carico, ma alla somma di essi.

Data: 7 Aprile 2021
L'IMPOSTA ADDIZIONALE DEL DIECI PER CENTO PREVISTA DALL'ART. 33 DEL D.L. N. 78 DEL 2000, CONV. IN L. N. 122 DEL 2010

Nella sentenza in esame, la Suprema Corte si è occupata della questione avente ad oggetto l’applicabilità dell’imposta addizionale del 10% nei confronti dei dirigenti delle imprese operanti nel settore finanziario che svolgono attività "rivolta al pubblico" e di quelli di “holding industriale”. Nello specifico va detto come con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate ha proposto impugnazione innanzi alla Corte di Cassazione, stante la circostanza per la quale, con riferimento al provvedimento impugnato, “la Commissione Tributaria Regionale avrebbe escluso l'applicabilità dell'addizionale ritenendo la contribuente – L. Group - holding industriale, e ritenendo di comprendere nel "settore finanziario" i soli soggetti che, a norma del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 106 (Testo Unico Bancario) svolgessero attività nei confronti del pubblico. Osserva in generale che anche le holding come quella in questione, attraverso le correlazioni con le società che coordinano, possono di fatto incidere sui comportamenti adottati nei mercati finanziari, rientrando quindi nella ratio della norma”. Nello specifico, la questione devoluta alla Corte ha riguardato il giudizio sulla correttezza del criterio discretivo individuato dalla Commissione Tributaria 2 Regionale della Lombardia nella distinzione dell'attività finanziaria svolta "nei confronti del pubblico" o "non nei confronti del pubblico", al fine di giungere ad una puntuale individuazione del comparto "settore finanziario", all'interno del quale operano, tra gli altri, anche i dirigenti e titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, che sono i soggetti passivi dell'imposta addizionale del 10%, introdotta dal D.L. n. 78 del 2010.

Data: 31 Marzo 2021
AI FINI DELL'OBBLIGO D'ISCRIZIONE ALLA GESTIONE SEPARATA INPS, RILEVA L'ABITUALITÀ CON CUI IL LIBERO PROFESSIONISTA - CHE NON RAGGIUNGE LA SOGLIA DI REDDITO RICHIESTA PER ISCRIVERSI ALLA CASSA FORENSE - ESERCITA LA SUA ATTIVITÀ, E NON L'ENTITÀ DEL REDDITO

Nella vicenda oggetto di disamina, con un unico motivo di censura, l'INPS ha contestato la decisione della Corte d'Appello di Genova, per aver erroneamente ritenuto – a detta del ricorrente medesimo - che la produzione di un reddito non inferiore a 5000 euro costituisse il solo presupposto obbligatorio per l'iscrizione alla Gestione Separata. A sostegno della doglianza formulata dall’INPS, si deve rappresentare come già il più rilevante precedente giurisprudenziale - Cass. S.U. n. 3240 del 2010 – aveva disciplinato che “l'obbligo di iscrizione alla Gestione separata è genericamente rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante dall'esercizio abituale (ancorché non esclusivo) ed anche occasionale (oltre la soglia monetaria indicata nel D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2, conv. con L. n. 326 del 2003) di un'attività professionale per la quale è prevista l'iscrizione ad un albo o ad un elenco, tale obbligo venendo meno solo se il reddito prodotto dall'attività professionale predetta è già integralmente oggetto di obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento”.

Data: 23 Marzo 2021
IN TEMA DI IMPOSTA DI REGISTRO SUGLI ATTI DELL'AUTORITÀ GIUDIZIARIA, IL DECRETO INGIUNTIVO PROVVISORIAMENTE ESECUTIVO È ASSOGGETTATO AD IMPOSTA ANCHE SE, IN PENDENZA DEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE, L'ESECUTORIETÀ DELLO STESSO VIENE SOSPESA

Nella sentenza oggetto di disamina, la Società ricorrente ha dedotto “la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro), per avere la CTR ritenuto che la sospensione dell'ingiunzione non corrispondesse alla revoca della stessa”. Nello specifico, la società sostiene la tesi per cui, anche in presenza di un decreto ingiuntivo munito della clausola di provvisoria esecutorietà, in pendenza del giudizio di opposizione,la provvisoria esecutorietà debba intendersi non solo sospesa, bensì revocata. Tale istanza, tuttavia, secondo la Corte di legittimità è priva di fondamento. La stessa Corte di Legittimità nella propria ordinanza in un primo momento ha richiamato il D.P.R. n. 131 del 1986, e, nello specifico, l’art. 37, comma 1, in base al quale:"Gli atti dell'autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere, sono soggetti all'imposta, anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato; alla sentenza passata in giudicato sono equiparati l'atto di conciliazione giudiziale e l'atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l'amministrazione dello Stato".

Data: 16 Marzo 2021
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE HA RITENUTO LESIVA DEL DECORO PROFESSIONALE LA LIQUIDAZIONE DI UNA SOMMA OMNICOMPRENSIVA INFERIORE AI MINIMI TARIFFARI (copia)

Nel caso di specie, accadeva che un contribuente impugnava una intimazione di pagamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, eccependo l'intervenuta prescrizione del tributo. La CTP accoglieva il ricorso compensando le spese di lite. Il contribuente, dappoi, proponeva relativo gravame avverso l’illegittima compensazione; la Commissione Tributaria Regionale accoglieva il ricorso e condannava l'Ufficio al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio quantificandole "in € 300,00 per il primo grado ed € 300,00 per il secondo". Ciò posto, il contribuente proponeva ricorso per Cassazione avverso tale ultima pronuncia, evidenziando l’erroneità della sentenza resa nella parte in cui aveva operato una liquidazione delle spese legali in misura inferiore ai minimi tariffari, ledendo, in tale maniera, il decoro professionale.

Data: 1 Marzo 2022

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